Natale
sul fronte russo
(Novella
di E. Scaringella)
Giacomo
Lauri, intirizzito e tremante quella mattina, reduce dalle sue ore di
vedetta, era ritornato sotto la sua tenda.
Era
il 25 dicembre, giorno di Natale, ed egli, nella notte siderale,
aveva contato le ore, dalla mezzanotte alle prime luci del giorno.
E
nella veglia ansiosa, con lo sguardo proteso nell'oscurità,
squarciata soltanto da tutto quell'immenso candore di neve,
era
riandato col pensiero alle trascorse ricorrenze natalizie, quando in
casa sua, raccolti intorno al ceppo, consumavano la
tradizionale
cena, innaffiata da quel vinello rosso e generoso che si produce
tanto copiosamente nella nostra fertile e rigogliosa
terra di Puglia.
Ricordava il Natale di lutto, dopo la morte del babbo. Ma in seguito
egli, gli altri tre fratelli e le sorelle, si erano
stretti vieppiù
intorno alla mamma, sino a riuscire a colmare il vuoto che le si era
fatto d'intorno.
La
mamma, un amore di donna dai bianchi capelli e dal viso di bimba, era
stata la loro valida guida, il loro sostegno
morale e materiale.
Giacomo
era il minore della nidiata, ed era rimasto sempre presso di lei. Gli
altri, a poco a poco, avevano disertato la casa,
chi sposandosi, chi
arruolandosi sotto le armi. Egli non aveva lasciato mai la mamma d'un
sol passo, la stessa guerra,
in sulle prime, non aveva potuto
dividerli. Giacomo era ancora fanciullo quand'era incominciata, e per
quanto sentisse
in cuore il prepotente bisogno di parteciparvi, pure
non voleva lasciare volontariamente la mamma. Ma quando la sua
classe,
quella del 22, venne chiamata, fu costretto a partire.
E
in quella notte erano passate dinanzi alla sua mente le mille visioni
delle trascorse giornate prima di partire. Rievocava
l'ultimo Natale
a casa. La mamma si affaccendava a preparare la cena. Anche le sue
sorelle, con i loro mariti e coi bimbi
vi erano intervenuti; così il
maggiore fratello, Diego, che trovavasi in licenza, reduce dalla
Grecia. Ospite gradita vi era
pure Marisa, la piccola Marisa,
figliuola di alcuni vicini di casa che Giacomo amava segretamente, e
la mamma, intuendo
i sentimenti di lui, l'aveva invitata, sicura di
farle piacere. L'albero di Natale, colmo di doni per lui, per le
sorelle, i nipotini,
ed anche per la piccola e bionda Marisa,
troneggiava in un angolo, in un luccichio di lampadine e di carta
inargentata.
A mezzanotte la radio suonava le dolci e patetiche nenie
natalizie, mentre tutti si mettevano a tavola, dopo una breve
preghiera al Bambino Gesù, ch'era venuto al mondo per redimere gli
uomini: E in quella preghiera la mamma
raccomandava gli altri due
figliuoli assenti, uno sposato nel Continente, l'altro combattente
sul mare.
La
cena era stata lieta; pur non succulenta come una volta, ma; come
cena natalizia, in tempo di guerra, poteva andare.
Il vino era forte
e generoso e tutti avevano brindato alla salute dei cari assenti, di
tutti i combattenti e alla vittoria finale
della Patria in armi.
Giacomo
aveva visto scorrere le lacrime sul viso materno e non aveva potuto
trattenersi di alzarsi per baciarla;
poi si era seduto e a Marisa,
che stava accanto, aveva rivolto sorridendo questa domanda:
- Se nel prossimo
Natale non sarò più qui mi penserai ed attenderai il mio ritorno ?...
- Certo che ti
attenderò...
E
la piccola aveva risposto alla tenera stretta di mano di lui.
Tutti
brindavano senza badare ad essi, che con gli occhi più che con le
parole, si erano scambiato la promessa d'amore.
Prima
che partisse Giacomo si era fidanzato ufficialmente, ed in ogni
lettera che inviava alla mamma, ne accludeva un'altra
per la piccola
e bionda fidanzata.
Nella
veglia ansiosa di quella rigida notte sul fronte russo, egli era
rimasto in compagnia di quei dolci e struggenti ricordi.
All'alba si
raffigurò la mamma al braccio di Marisa, incamminante entrambe alla
volta della chiesetta vicina di casa, il cui
suono delle campane, per
la nascita del Redentore del mondo, riecheggiava nel suo cuore, in
quell'immenso silenzio,
su quella terra in cui si era negato Iddio e
tutte le solennità religiose.
Giunto
all'accampamento, sotto la tenda scavata fra la neve, sdraiandosi per
riposare dopo quella notte di veglia,
scrisse alle amate lontane:
Mamma
diletta ed amata Marisa.
Vi
scrivo insieme perchè stanotte, in un posto di vedetta, ho trascorso
la mia vigilia di Natale, mentre il gelo mi assiderava
e la neve
pareva volermi ricoprire come un sudario di morte. Ma ho avuto voi
due per compagne, voi due col ricordo
vivo della mia terra lontana,
di altre ricorrenze natalizie trascorse, dei miei fratelli e delle
mie sorelle. Tutto ciò, son certo,
mi ha aiutato a resistere. E
stamane, sotto la mia tenda, vi scrivo per dirvi che il coraggio non
mi manca e soprattutto la fede
per la prossima vittoria.
Abbiate
fede e coraggio anche voi, carissime, attendetemi con gioia, che io
con gioia ritornerò per dirvi che in questa terra
dove si è rinnegato Cristo, anche sulla neve si rizzano altari per
celebrare
la Messa del Santo Natale. Ed io mi affretto
a chiudere la presente
per correre anch'io coi miei compagni ad ascoltarla, inginocchiarmi
e pregare, ringraziando il Signore
di essersi degnato di nascere
anche qui.
Vi
stringo teneramente sul mio cuore che vi ama, e grido: «
Buon Natale ! Nella dolce illusione che il mio augurio giunga
ai
vostri cuori, per recare la speranza e la gioia ».
Giacomo vostro.
Andria,
Natale
Emanuele
Scaringella
Pubblicata
su: «L’IDEA DI ANDRIA», Anno VI,
Nr. 6,
Andria 25
dicembre 1942